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Per i millennials, ancor di più per i centennials, non c’è differenza tra identità fisica e digitale, le due si intersecano e mescolano in qualsiasi attività quotidiana, l’una fa parte dell’altra. Forse allora vale la pena di chiedersi come questa loro attitudine influirà sui brand e sulle aziende: avrà ancora senso parlare di omnicanalità?
La domanda vuole essere una provocazione. È evidente che il concetto di omnicanalità è tutt’altro che tramontato ma, ci chiediamo, di fronte a confini sempre più sfumati tra mondo fisico e digitale e touchpoint tra brand e persone sempre più estesi e tecnologici – dove la customer experience dev’essere coerente, consistente, di qualità e produrre valore indipendentemente dal canale attraverso la quale prende forma – la parola stessa omnicanalità non risulterà obsoleta?
Come anticipato, per ora, il concetto di omnicanalità è tutt’altro che superato, anzi, deve ancora fare i conti con aziende e brand che faticano a comprenderne la differenza rispetto al più vecchio concetto di multicanalità.
Cerchiamo quindi di fare un po’ di chiarezza: nell’ambito della customer experience, il termine “multicanale” significa esattamente ciò che suggerisce il nome ossia la capacità di interagire e comunicare con i clienti su più canali, ad esempio voce, testo, e-mail, canali social o chat.
L’esperienza multicanale, in altre parole, offre alle persone la possibilità di interagire ed entrare in contatto con un brand attraverso una varietà di canali ma non c’è alcun accenno all’integrazione di questi canali, cosa che invece caratterizza quella che, prima di essere identificata come omnicanalità, veniva chiamata esperienza utente multimodale (o cross-channel).
Il tema più ampio della cosiddetta omnicanalità mira invece alla definizione di una esperienza utente “ottimale”, senza interruzioni e con la massima integrazione e flessibilità nell’utilizzo dei canali di contatto e comunicazione e nella raccolta di informazioni che possono essere utili a dare risposte e coinvolgere l’utente in tutto il ciclo di interazione con un brand.
Un’esperienza cliente omnicanale è costituita sempre da singoli punti di contatto tra brand ed utente ma la varietà di canali si collegano senza interruzioni, consentendo ai clienti di riprendere contatto e comunicazione su un canale differente da dove si era formato continuando l’experience come se nulla fosse cambiato.
Ma supportare e gestire più canali di coinvolgimento – anche in modo dinamico e senza interruzioni – è sufficiente a creare una customer experience “unica”?
Un approccio metodologico e strategico all’omnicanalità, oltre a colmare le lacune lasciate dalla multicanalità, va ben oltre il concetto di canale stesso – da qui la nostra provocazione sul senso stesso dell’omnicanalità – e rappresenta una sorta di “meta-visione” di tutte le interazioni che un utente fa con un brand nel tempo, indipendentemente dalle modalità e dai mezzi.
Se è vero che l’omnicanalità andrebbe vista come approccio metodologico e strategico di business e non come strumento tecnico del marketing, è altrettanto vero che il traguardo non è poi così semplice da raggiungere per le aziende.
Secondo i dati dell’Osservatorio Omnichannel Customer Experience promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, quasi un quarto delle realtà mappate in Italia non integra ancora i dati sui clienti o prospect provenienti da diverse fonti per crearsi una vista unica sul cliente e il 40% gestisce in quest’ottica al più due o tre tipologie di informazioni, tendenzialmente quelle più semplici (come anagrafica clienti e storico di acquisto). Il dato forse più sconfortante sta nel fatto che oltre un terzo delle aziende interpellate non traccia né ricostruisce, ad oggi, il customer journey del cliente, il 44% lo fa ma solo sui touchpoint digitali, mentre solo il 20% è in grado di farlo su tutti i canali fisici e digitali.
Uno scenario che lascia trapelare un’altra grande difficoltà dei brand, quella legata alla data monetization: la raccolta dei dati è indubbiamente il punto di partenza per poter definire un processo decisionale verso il cliente più efficace ma se i dati raccolti sono quelli anagrafici e lo storico degli acquisti, questi, da soli, non possono avere una grande incidenza su una strategia proficua di customer journey.
Anche di fronte ad aziende virtuose in grado di raccogliere dati da più fonti (dal punto vendita al sito Internet/eCommerce, dal call center alla pubblicità, dai canali di direct marketing alle mobile app o social network, dal crm ai sistemi di cassa e pagamenti fino ai dati provenienti da ricerche di mercato o banche date di terze parti), senza la capacità di saperli analizzare e capire la data monetization non può concretizzarsi.
Eppure, secondo le stime di Forrester Research la maggior parte dei Retailer punterà nei prossimi anni proprio su omnicanalità e personalizzazione di contenuti e servizi con l’obiettivo di rafforzare e migliorare il customer engagement ma, prima di tutto, la customer experience.
Quando si parla di omnicanalità, però, una cosa è descrivere la teoria, un’altra è capire in pratica cosa significa. Guardiamo allora i casi di alcune aziende che hanno saputo cogliere il vero valore del concetto di omnicanalità.
Chi di voi ha figli e ha avuto l’opportunità di sperimentare l’utilizzo dei canali della Disney capisce bene perché abbiamo scelto questo brand come primo esempio della nostra lista.
Dal sito web non solo è possibile vedere prodotti e servizi e accedere a tutte le informazioni dell’azienda ma anche prenotare un viaggio all’interno dei parchi divertimento sparsi in giro per il mondo. L’esperienza degli utente prosegue sui dispositivi mobile con l’app My Disney Experience da dove è possibile integrare il proprio piano di viaggio con servizi extra (dall’acquisto di biglietti agli spettacoli fino alla prenotazione di cibo e bevande) oppure avere in real-time tutte le informazioni che servono per muoversi dentro i parchi (per esempio sapendo quali sono i tempi di attesa per ogni singola attrazione). All’interno dell’app è possibile avere anche quello che la Disney ha chiamato “Magic Band”, uno strumento extra che consente di aprire la porta della camera dell’albergo dalla propria app, archiviare le foto, sfruttare servizi come il Fast Pass. Insomma, tutto ciò che serve per alimentare l’esperienza del cliente (tutti i servizi sono disponibili anche via desktop ed i sistemi in-store e nei parchi divertimento sono connessi al sistema centrale: il cliente viene riconosciuto in qualunque parco o store Disney).
Credits: My Disney Experience Mobile App
Il brand è forse poco noto in Italia ma si tratta di uno dei Retailer più noti nel Regno Unito che ha saputo fare di sito Internet, piattaforma eCommerce, mobile app ed esperienza in store un’unica shopping experience.
L’esperienza in store è l’esempio concreto di come mondo fisico e digitale ormai siano un tutt’uno: il personale addetto alle vendite e al servizio clienti è dotato di tablet e altri dispositivi mobile grazie ai quali non solo possono fornire in modo tempestivo le risposte ai clienti ma anche riconoscere l’utente, sapere qual è stata la sua esperienza con il brand fino a quel momento, capire in che modo solitamente interagisce con la marca, conoscere se ha avuto problemi ed è ricorso al call center o all’help desk.
Il tablet funge anche da registratore di cassa, semplificando quindi l’esperienza di pagamento, e permette al personale di fare ordini online in real-time nel caso la merce desiderata dal cliente non sia in store.
L’app per i clienti è pensata per dare anche servizi aggiuntivi come lo store locator e la proposta di contenuti ad hoc come sconti e promozioni personalizzate.
L’azienda ha puntato sul sito e l’app anche per la proposta di contenuti editoriali come il Blog e la sezione “My Personal Stylist”.
Credits: Oasis
Chi sceglie Starbucks, si sa, sceglie l’experience, non il prodotto. Non deve stupire quindi se molti americani ritengono che la mobile app del noto brand della caffetteria sia una tra le migliori.
L’app funge da carta loyalty gratuita utilizzabile tutte le volte che si fa un acquisto, di qualsiasi natura, ma a differenza dei tradizionali programmi di fidelizzazione della clientela Starbuck consente di usare la carta digitale come sistema di pagamento e di controllare e ricaricare la carta tramite lo smartphone, il sito web, in-store o direttamente dall’app stessa. Qualsiasi transazione o modifica alla carta, indipendentemente dal canale utilizzato, viene aggiornata in real-time su tutti gli altri canali. L’app tiene traccia delle abitudini del cliente lasciando spazio quindi a proposte personalizzate o a servizi extra da riconoscere ai clienti sia online sia in store.
Credits: Starbucks
Le linee di confine tra ciò che gli utenti fanno online e nel mondo fisico sono sempre più sfumate e la tecnologia sta diventando sempre più vitale nella vita quotidiana di tutti al punto da modificare abitudini ed aspettative delle persone. Invece di sviluppare un’esperienza desktop ed una mobile e magari un’altra ancora per lo store fisico o per l’help desk via chat o telefono, per le aziende diventa quanto mai urgente e prioritario pensare in modo olistico al cliente e a tutto ciò che può e vuole fare per interagire con il brand.
È il cliente che guida la strategia omnicanale di un’azienda. Anche in questo caso si tratta di una provocazione ma quanto mai necessaria per far capire che l’omnicanalità non può essere una strategia di marketing ma una visione che tocca tutte le aree aziendali comprese vendite e servizi e deve guardare agli utenti nella loro globalità, quindi non solo clienti ma anche partner e fornitori.
Se guardata e affrontata in questo modo, allora sì, avrà ancora senso parlare di omnicanalità.
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