Sembrano semplici stringhe di codice ma la loro portata va ben oltre il linguaggio di programmazione. Le API, acronimo di Application Programming Interface, semplificano il dialogo tra diverse applicazioni, evitano agli sviluppatori di scrivere codice da zero e aprono la strada allo sviluppo di nuovi servizi digitali.
Questo è esattamente ciò che serve oggi alle imprese che necessitano di accelerare percorsi di Digital Transformation e hanno capito il potere del software nell’innovazione di business, soprattutto in percorsi e progetti che prevedono forti integrazioni tecnologiche come quelli basati su Intelligenza Artificiale, Machine Learning e IoT (Internet of Things).
L’acronimo API fa riferimento all’interfaccia di programmazione di un’applicazione e può assumere diverse forme. Si tratta, in linea generale, di un insieme di funzioni che permettono di accedere ai servizi di un’applicazione mediante un linguaggio di programmazione. Ma queste funzioni possono essere diverse: può trattarsi di una libreria che consente a uno sviluppatore di interagire con un determinato software o una piattaforma, oppure possono fungere da “chiamata” di un programma verso parti di un’altra applicazione.
Le API possono quindi essere definite come uno strumento flessibile ed efficiente sia per lo scambio di dati che per la condivisione di funzionalità: gli sviluppatori utilizzano questi strumenti per estendere o migliorare le funzionalità di un programma, una piattaforma, una soluzione software, attingendo a risorse di altri sistemi (altrimenti inaccessibili). La cosa interessante è che l’utilizzo di API non richiede la conoscenza del codice di un’intera applicazione o servizio digitale perché fungono da “convenzioni” attraverso le quali le aziende condividono dati al proprio interno, con i propri partner o con terzi, aziende o sviluppatori.
Google, ad esempio, mette a disposizione degli sviluppatori le API delle proprie Google Maps con le quali i programmatori possono creare mappe personalizzate a supporto di svariati progetti: possono così creare servizi di ricerca georeferenziati da integrare in app e siti web, attraverso i quali i reparti Marketing potranno poi creare campagne di comunicazione più efficaci perché in linea con il contesto dell’utente, assicurando una migliore user experience.
Già da diversi anni ormai le API sono diventate il must have per automatizzare i processi interni di programmazione del software, in particolare per ridurre i cicli di design, sviluppo e lancio di nuovi prodotti e servizi digitali. Ma il loro potenziale, oltre per chi sviluppa software, deve ancora esprimersi al meglio: le API possono infatti rappresentare la chiave di volta delle cosiddette extended enterprise, quelle che innovano attraverso una serie di partnership e collaborazioni con le quali implementare i propri prodotti con informatica, software e servizi digitali.
A segnare il cambio di passo, elevando le API da mero “prodotto informatico” a “strumento di business” è in particolar modo l’openAPI (nata nel 2010 con il nome di Specifica Swagger, rinominata nel 2016 e messa a disposizione di tutta la community globale di sviluppatori attraverso una repository su GitHub): una specifica per file di interfaccia leggibili dalle macchine per descrivere, produrre, consumare e visualizzare servizi web RESTful (l’architettura software per i sistemi distribuiti).
Si tratta di una serie di strumenti che può generare codice, documentazione e test case da un dato file di interfaccia. Le applicazioni implementate basandosi su file di interfaccia OpenAPI possono automaticamente generare la documentazione di metodi, parametri e modelli. Un sistema che aiuta a sincronizzare la documentazione, le librerie client e il codice sorgente accelerando così la creazione di nuovi servizi, un must have – appunto – per le aziende che intendono puntare sul digitale per migliorare la loro posizione di mercato, innovare o rendere più efficace la loro relazione con i clienti.
Nel banking ad esempio, l’adozione di Open API sta portando a un cambio di paradigma anche nei pagamenti: l’Open Banking e lo sviluppo di ecosistemi Api (soprattutto in seguito alla Direttiva europea PSD2) consentiranno ai consumatori di trarre vantaggio da nuovi prodotti e servizi per migliorare la gestione delle finanze. Infatti, l’utilizzo di API aperte danno la possibilità agli sviluppatori di creare servizi e applicazioni innovative con maggiori opzioni di trasparenza finanziaria per i titolari di conti, dando un valore aggiunto ai clienti rispetto ai competitor.
Nell’economia attuale dove mondo fisico e mondo digitale si fondono sempre più e tutti sono connessi (persone, aziende e persino oggetti), le API ne rappresentano il pilastro portante, quello grazie al quale business e società digitali si modellano in un mix di tecnologia, persone, aziende e cose.
In questa API economy, le interfacce di programmazione diventano la valuta attraverso la quale monetizzare i percorsi di Digital Transformation in termini di innovazione e co-creation di opportunità e modelli di business all’interno di un sempre più esteso ecosistema di partner (vendor tecnologici, sviluppatori, aziende, utenti). Un’economia che con l’ampliarsi dei modelli di Open Innovation, vero motore della diffusione delle API, mostra in modo ancora più chiaro la sua potenza e necessità di espansione: laddove i processi innovativi sono estesi e distribuiti (così come le tecnologie e i servizi che li abilitano), serve uno “strato di collegamento” che consenta di accelerare il passo verso l’obiettivo.
La maggior parte del valore generato dalle API non deriva dalle “chiamate API”, dalle singole funzionalità o dalle librerie che consentono a più applicazioni di comunicare e integrarsi. Il valore si genera attraverso le nuove opportunità di business che si vengono a creare grazie ai nuovi servizi abilitati tramite le API: queste ultime sono l’abilitatore, non il valore.
Secondo la ricerca di Coleman Parkes “APIs: Building a Connected Business in the App Economy”, il 61% delle aziende italiane che ha adottato le API è convinto di essersi differenziato dalla concorrenza mentre il 72% di aver migliorato la customer experience.
A supporto di questi dati, il report di IDG, “2018 State of Digital Business Transformation”, conferma che le tecnologie legate al mondo delle API sono nella lista delle prime cinque tecnologie top sulle quali le aziende stanno già investendo, insieme a Big Data/Analytics, tecnologie mobile, private cloud e public cloud.
Dall’analisi di IDG l’importanza delle API emerge soprattutto in progetti di innovazione che riguardano ambiti dove l’integrazione e l’interoperabilità diventano gli elementi discriminanti di successo, sia da un punto di vista di velocità di rilascio dei progetti/servizi, sia da una prospettiva di business legata alla proposta di qualcosa di nuovo sul mercato.
Secondo gli analisti di Gartner, le API vengono sfruttate dalle aziende per migliorare i processi di misura e controllo del business, in particolare quale “strato” software aggiuntivo con il quale impostare nuove metriche e set di Kpi. In realtà, in ambiti come quelli dell’Intelligenza Artificiale, dei Big Data, dell’IoT, le API diventano quell’elemento di integrazione tra chi crea il valore digitale (sviluppatori, vendor, Isv, system integrator, ecc.) e chi lo consuma (utenti/clienti ed aziende), aprendo la strada a nuovi modelli di business (sia per chi crea il servizio digitale, sia per chi lo sfrutta o lo mette a disposizione dei propri clienti).
Se correttamente gestite, le API forniscono un importante “bacino di innovazione” delle risorse digitali. Infatti, forniscono una base importante di informazioni utili (come vengono utilizzati i servizi, con che frequenza e in che modalità le applicazioni comunicano ed interagiscono, in base a quali richieste e comportamento dell’utente, ecc.) che possono diventare la risorsa più preziosa per migliorare la user experience di chi accede ai servizi digitali di un’azienda o di un brand.
Pur nascendo come tool tecnico, le API assumono un ruolo cruciale in un contesto di Digital Transformation perché intervengono per favorire l’apertura e l’integrazione di dati e funzionalità: non devono solo essere considerate come una tecnologia di integrazione ma anche (e soprattutto) come leva strategica, un vero driver di business e innovazione, che consente alle imprese di ripensare i propri asset aziendali.